domenica 21 settembre 2008

Un mondo di plastica

C’erano una volta le grandi battaglie ideologiche, le manifestazioni oceaniche, il ’68, le piazze indignate, i cortei contro la guerra del Vietnam: episodi che in buona parte non condividiamo e che comunque si sono resi responsabili di errori, spesso di veri e propri crimini. Per questo non li rimpiangiamo in sé, ma è certo che – insieme a migliaia di altri fenomeni analoghi più o meno noti – testimoniano un’epoca nella quale gli uomini avevano ancora la voglia di lottare per qualcosa in cui credevano, un “qualcosa” comunque di alto profilo, perlomeno nelle intenzioni: l’ideologia, la pace, la giustizia, la libertà.
Ieri mi trovano ad osservare i portoni lungo una via e notavo come pressoché tutti esponessero il cartello “Vietato immettere pubblicità nelle cassette”. Anche questo, di per sé, un episodio di scarsa rilevanza e che riflette pure un’esigenza legittima per il cittadino stanco di vedere la propria cassetta intasata di depliants pubblicitari. Lo stesso cittadino che non sopporta più di vedere i muri imbrattati, gli accattoni per le strade, le prostitute sui marciapiedi, il fumo del vicino, i drogati sulle panchine della stazione. Che migliaia di civili innocenti siano massacrati in Afghanistan e Iraq con l’appoggio o l’omertà del nostro esercito e del nostro governo non frega niente a nessuno. Ma che qualche scalmanato napoletano danneggi un treno è assolutamente intollerabile. Che Banca d’Italia e BCE siano organismi privati che attraverso il signoraggio ci depredano di infiniti milioni di euro è troppo difficile da capire e non indigna che pochi “esperti”. Ma se la banca presso la quale abbiamo depositato il nostro conto ci aumenta di un paio di euro le commissioni a nostro carico siamo pronti anche a prendere il direttore per i piedi.
Questa è diventata la nostra società: quello che conta veramente o è troppo distante o è troppo complicato o non ci interessa o siamo convinti non si possa modificare. Il tempo delle grandi lotte è passato. Eppure, siccome la propria natura si può comprimere ma non cancellare completamente, ciò genera solo frustrazioni, odi reconditi, volontà di dirigere la propria rabbia ed indignazione contro bersagli più facili e vicini. Fatemi pure vivere in un mondo dove si massacrano innocenti per un barile di petrolio, dove tutto passa sopra le nostre teste ignare e lobotomizzate, dove io non conto assolutamente nulla e neppure ho diritto a conoscere la verità. Anzi, ci rinuncio proprio a tentare di conoscerla. Però, almeno, fatemi vivere in città pulite, tenetemi lontani gli zingari, lasciatemi tranquillo e sicuro.
Nel celebre film Matrix uno dei personaggi accetta di vivere nel mondo finto predisposto dalle macchine pur sapendolo tale, a patto che gli siano garantiti tutti i relativi agi.
L’orribile sospetto è che sia questo che vogliono gli uomini di oggi. Non importa che la nostra sia una società di plastica, basta che sia commestibile, che non si stia troppo male. Il sostantivo che va più di moda di questi tempi, non a caso, è “sicurezza”. Giustizia e libertà sono passati di moda.

di Andrea Marcon

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