domenica 14 settembre 2008

Le tesi di Charles Baudelaire

Chrales Baudelaire è il più noto dei letterati ottocenteschi che si sono occupati di hashish. E' interessante notare la struttura del saggio Del vino e dell'hashish raffrontati come mezzi di moltiplicazione dell'individualità (1851). Infatti oggi i sostenitori del proibizionismo continuano a negare la validità delle tesi antiproibizioniste che accostano gli effetti dell'alcol a quelli dei derivati dalla cannabis, a vantaggio della minore tossicità della cannabis.
Eppure è naturale che questa comparazione vada fatta se si affronta l'argomento in modo razionale e senza pregiudizi. E infatti Baudelaire partiva proprio da questa comparazione delle due sostanze, a quel tempo ugualmente legali, per trarre le sue considerazioni. Baudelaire non fa una questione di sostanze ma di uso delle sostanze. Il vino è come l'uomo, in sé non è né buono né cattivo, ma ne esalta e amplifica la personalità in massimo grado. E proprio contro l'uso dissennato del vino se la prende Baudelaire, moralista, non con la sostanza in sé.

Quando poi si passa alla trattazione dell'hashish Baudelaire comincia citando un'esperienza allora comune: al tempo della mietitura della canapa, allora ampiamente diffusa (cfr. i passi dell'Encyclopedie qui riportati), i lavoratori avvertono dei giramenti di testa perché questa pianta sprigiona spiriti che danno vertigini, anche se la varietà francese (canapa sativa) con cui si è tentato di produrre hashish, scrive, non ha dato buoni frutti. E infatti l'hashish viene dall'Egitto e la sua composizione è "decotto di canapa indiana, burro e una piccola quantità d'oppio. Ecco dunque una marmellata verde, con un odore singolare e talmente forte da suscitare una certa repulsione" (Baudelaire, Il poema dell'hashish, Newton Compton 1992, p. 35).

In effetti le descrizioni dell'hashish che ci lascia Baudelaire, in modo analogo a quelle di Dumas (cfr. lettura di Dumas tratta da Il conte di Montecristo) e altri letterati del periodo mostrano come l'hashish fosse a quel tempo ingerito in grandissima quantità sotto questa forma e mischiato all'oppio. Gli effetti molto pesanti descritti, dunque, vanno inquadrati in questa modalità di assunzione incomparabilmente più massiccia di quella che oggi avviene con un normale spinello.
"Cinque, dieci, quindici centigrammi sono sufficienti per produrre effetti sorprendenti" (op. cit. p. 55) scrive nel Poema dell'hashish e continua "A Costantinopoli, in Algeria, e anche in Francia alcuni fumano l'hashish mescolato al tabacco; ma, in questo caso, i fenomeni descritti si verificano in misura assai modesta e per così dire, in forma pigra" (op. cit. p. 56).
Gli effetti dell'hashish descritti da Baudelaire sono molto pesanti, all'inizio ansia, poi una seconda fase di allucinazione e deformazione della realtà e infine una terza fase in cui "l'uomo è promosso a dio". A dire il vero non si capisce quanto questi effetti siano derivati dalla cannabis e quanti dall'oppio con cui era mescolata. Anche perché la confusione tra le due sostanze è anche nella descrizione degli effetti oltre che nelle modalità di assunzione, come testimonia il passo in cui il poeta francese cita Edgard Allan Poe che descrive gli effetti di oppio e morfina, e Baudelaire afferma che ciò che racconta "il maestro dell'orrido" sono "caratteristiche perfettamente applicabili all'hashish" (op. cit., p. 79).

Non bisogna erroneamente credere che Baudelaire per aver scritto questi saggi fosse un teorico della cultura della droga, tutt'altro, le sue posizioni sono molto moraliste, anche se qua e là contraddittorie. In primo luogo si avverte una certa aristocrazia intellettuale, per cui questa sostanza non dà a tutti le stesse sensazioni, gli effetti che descrive valgono
"per gli spiriti artistici e filosofici. Ma esistono temperamenti nei quali questa droga produce soltanto una follia chiassosa...
In Egitto il governo proibisce la vendita e il commercio dell'hashish, almeno all'interno del paese... Il governo egiziano ha ragione. Mai uno Stato ragionevole potrebbe sopravvivere con l'uso dell'hashish. Non plasma né guerrieri né cittadini.... Se esistesse un governo che avesse interesse a corrompere i suoi sudditi, non dovrebbe far altro che incoraggiare l'uso dell'hashish.
Si dice che questa sostanza non provochi alcun male fisico. E' vero... ma quella che viene intaccata è la volontà" (Del vino e dell'hashish, op. cit. p. 42-3).

Nella sua conclusione tra la comparazione di vino e hashish dunque Baudelaire opta in favore del primo.
"Il vino esalta la volontà, l'hashish è un'arma per il suicidio. Il vino rende buoni e socievoli. L'hashish isola... Il vino è fatto per il popolo che lavora e merita di berne. L'hashish appartiene alla classe dedita alle gioie solitarie; è fatto per miserabili e oziosi. Il vino è utile, produce risultati fruttuosi. L'hashish è inutile e pericoloso" (op. cit. p. 43-44).
Si potrebbe naturalmente discutere su questi giudizi di Baudelaire in parte motivati dal tipo di assunzione pesante da lui descritta, in parte per rivedere il suo giudizio positivo sul vino, che se abusato è estremamente più pericoloso e non porta affatto necessariamente a sentimenti "buoni e socievoli". Questi giudizi, dieci anni dopo, vengono in parte ripresi e riveduti nel Poema dell'hashish in cui si trova anche una certa apologia dell'uso della sostanza:
"Ecco dunque la felicità! sta in quanto può contenerne un cucchiaino! ... Potete inghiottire, senza paura; non si muore. I vostri organi fisici non ne riceveranno alcun danno. ...che cosa rischiate? domani, un po' di affaticamento nervoso" (op. cit. p. 59).
Ed è interessante che la conclusione del poema riprenda anche a proposito dell'hashish la stessa cosa che dieci anni prima aveva detto del vino, e cioè che la sostanza serve ad amplificare ed esaltare le caratteristiche dell'individuo:
"E se, a prezzo della sua dignità, della sua onestà e del suo libero arbitrio l'uomo potesse trarre dall'hashish grandi benefici spirituali, farne una sorta di macchina per pensare, uno strumento fecondo? Ho sentito porre spesso questa domanda e rispondo. Innanzitutto, come ho spiegato a lungo l'hashish non rivela all'individuo null'altro che l'individuo stesso. E' vero che questo individuo viene per così dire elevato al cubo e spinto all'estremo delle sue facoltà..."
Allora è forse questa la chiave per comprendere le continue oscillazioni di Baudelaire ora di condanna ora apologetiche nei confronti dell'hashish. In modo un po' aristocratico il poeta crede che la diffusione della sostanza nel popolo produca effetti socialmente negativi, perché i vizi del popolo verrebbero così amplificati. Ma per i poeti e gli spiriti liberi sembra che questa esperienza possa giovare, anche se non in assoluto e con le dovute restrizioni.

Ancora su una cosa è poi interessante l'opinione di Baudelaire, e cioè sulla questione se la droga possa sviluppare e aiutare l'arte. E la sua risposta ancora una volta è negativa, non si può pensare che la droga ci elevi ad artisti perché ancora una volta la droga amplifica ciò che si è, non ci fa diventare ciò che non si è.
E infatti Baudelaire attaccava e criticava, in una nota, l'approccio di Moreau de Tours (cfr. il dibattito dell'800) che pensava di curare la pazzia con l'hashish: per Baudelaire il pazzo che assume questa sostanza amplifica la sua pazzia e basta.
E ancora vale la pena di citare il finale de Del vino e dell'hashish in cui l'autore riporta le parole del musicista Auguste Barbereau che affermava:
"Io non capisco come l'uomo razionale e spirituale possa servirsi di mezzi artificiali per arrivare alla beatitudine poetica, dal momento che l'entusiasmo e la volontà sono sufficienti per elevarlo a un'esistenza soprannaturale. I grandi poeti, i filosofi, i profeti sono esseri che grazie al puro e libero esercizio della volontà pervengono a uno stato nel quale essi sono al contempo causa ed effetto, soggetto e oggetto, ipnotizzatore e sonnambulo" e Baudelaire aveva aggiunto "Io la penso esattamente come lui".

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