lunedì 22 settembre 2008

Le cavie umane della scienza “medica”



Nel 1996, l’azienda Pfizer mette a punto un nuovo antibiotico il Trovan, che secondo gli economisti di Wall Street può portare profitti per un miliardo di dollari l’anno. Quanto esposto nel paragrafo precedente dovrebbe far capire che di fronte ad una simile cifra qualsiasi strategia sarà messa in atto perché tali profitti si concretizzino nel più breve tempo possibile, senza che ci si preoccupi minimamente del rispetto per la sacralità della vita umana. Siccome si vuole sperimentare tale farmaco anche contro la meningite, e siccome negli USA non ci sono abbastanza soggetti su cui sperimentarli, un’epidemia di meningite in Nigeria (che porterà alla morte di 15.800 persone) viene vista come una manna dal cielo da parte dell’azienda. I ricercatori della Pfizer in brevissimo tempo quindi si preparano alla sperimentazione sul campo dopo avere ricevuto il nulla osta della FDA.

Il test sulla sperimentazione clinica del nuovo farmaco viene “curiosamente” messo a punto nel giro di sei settimane, di fronte ad un periodo di circa un anno richiesto per effettuare una simile sperimentazione negli USA. Pare che la sperimentazione sia stata “ratificata” dai responsabili dell’ospedale locale con una lettera predatata, come dire che l’esperimento sarebbe iniziato subito e poi con qualche pressione si sarebbero “convinte” le autorità locali. Così vengono assoldati 200 bambini dalla multinazionale farmaceutica per provare il nuovo prodotto, dietro richiesta di un consenso puramente verbale.

E fin qui si tratta di una colpevole mancanza di cautela, ma la cosa peggiore è che la terapia a base del nuovo antibiotico viene mantenuta anche dopo che i bambini non reagiscono positivamente al trattamento: sono undici i bambini che muoiono dopo essere stati trattati in simile maniera col Trovan. Difficile dire quanti per la malattia e quanti per il mancato intervento.

Sulla base di questi dati esperimenti le autorità statunitensi permetteranno l’uso del farmaco solo agli adulti (gli effetti collaterali osservati anche in Occidente sono frequenti danni al fegato e finanche la morte). In Europa la medicina viene tolta dal commercio. Un farmaco inutile in sostanza, un farmaco mortale, che i geni dell’economia hanno valutato un miliardo di dollari e che bisognava tentare di piazzare a tutti i costi sul mercato.

Un simile modo di agire non è un caso isolato, sono sempre di più le sperimentazioni poco controllate e a basso costo portate avanti nei paesi poveri. In tali paesi è più facile trovare persone in cattive condizione di salute (soggetti ideali per le sperimentazioni) da assoldare con una piccola spesa per le aziende del farmaco.

Ma cerchiamo di capire cosa sta succedendo adesso nelle industrie farmaceutiche. Innanzitutto, come in altri settori, anche in campo farmaceutico si sono verificate numerose fusioni fra aziende, per cui le multinazionali del farmaco sono ormai dei colossi economici. Il settore farmaceutico rappresenta un mercato in rapida crescita, la medicalizzazione della vita copre ormai ogni aspetto ed ogni fase della vita, è diventato medico qualsiasi problema esistenziale, sociale, umano, di apprendimento, e persino malattie banali che in altri tempi si affrontavano benissimo con due giorni di riposo e una buona dose di vitamina c oggi sono diventate un “problema medico” da affrontare con un apposito farmaco.

Come succede per le automobili o per le saponette, anche in campo farmaceutico la legge della concorrenza costringe le aziende a produrre continuamente nuovi farmaci a ripetizione da immettere sul mercato. La strada dalla invenzione di un nuovo farmaco alla sua commercializzazione sarebbe lunga e costosa se non si fossero individuati, degli ottimi “luoghi di sperimentazione” nei paesi poveri. Lì si trovano cavie umane disponibili a poco prezzo, spesso analfabeti (e quindi si ottiene dubbio consenso puramente verbale e non scritto), si riesce a fare tutto a tempo di record e con pochi controlli scegliendo paesi stranieri dove le leggi in fatto di sperimentazione non sono così rigide come negli USA o nella CEE. Il New England Journal of Medicine riferisce che ogni giorno di ritardo prima dell’entrata in commercio di un nuovo medicinale costa in media al produttore 1,3 milioni di dollari di mancate vendite.

Come accade per i subappalti delle multinazionali dell’abbigliamento, anche in questo settore molto del lavoro sporco viene affidato a piccole società di comodo. In Svizzera è in corso un’inchiesta su una di queste organizzazioni, che arrivava ad utilizzare tossicodipendenti, rifugiati e addirittura importava pazienti dall’Estonia con appositi voli charter.

A questo scandalo delle cavie umane bisognerebbe aggiungere il fatto che mentre si ricercano farmaci contro l’obesità o l’impotenza (come se fossero poi problemi medici da risolversi con le pillole!) niente si fa per quelle malattie endemiche nei paesi poveri come la tubercolosi o la tripanosomiasi (malattia del sonno). Non credo nell’efficacia dei farmaci di chemiosintesi ma non posso escludere che in certe manifestazioni acute della malattia possano essere utili, in ogni caso queste aziende che proclamano di essere “al servizio del benessere e della salute dell’uomo” in realtà non si interessano ad altro che al profitto. Il farmaco contro la malattia del sonno, il DFMO, non viene più prodotto perché poco redditizio, e degli 8 milioni di tubercolotici solo 400.000 potrebbero pagarsi le cure. Neanche i milioni di persone che soffrono e muoiono di malaria giustificano uno sforzo delle industrie farmaceutiche dato che si tratta di persone troppo povere.

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