giovedì 25 settembre 2008

Il Ritorno di Nibiru
Posted in Settembre 22nd, 2008
by Leon in Mistero











Come è noto, grazie alle informazioni fornite da alcuni quotidiani statunitensi, nel 1983 il telescopio orbitale denominato IRAS – (Infrared Astronomical Satellite - Satellite Astronomico ad Infrarosso) (1) avrebbe scoperto un planetoide delle dimensioni di Giove nella direzione di Orione ben oltre il nostro sistema solare. Quella dell’IRAS, secondo diversi studiosi in primis Zecharia Sitchin, fu una scoperta determinante nell’ambito della ricerca di Nibiru (Pianeta dell’Attraversamento) perché sancì l’ennesimo ed effettivo interessamento (anche se mai avallato con dichiarazioni ufficiali) dell’establishment scientifico al famigerato Decimo Pianeta allora noto principalmente grazie agli studi e i testi del noto sumerologo. In effetti il 17 giugno 1982, la NASA in un comunicato stampa dell’Ames Research Center riconobbe ufficialmente la possibilità dell’esistenza di “qualche genere di oggetto misterioso” oltre i pianeti estremi del nostro sistema solare. Sempre nel 1982, precisamente il 28 giugno la rivista Newsweek si occupò del Pianeta X in un articolo intitolato “Does the Sun Have a Dark Companion?” (Il Sole ha un Compagno Oscuro?). Altri suggeriscono sia un decimo pianeta… L’articolo riportava che: “Un corpo celeste probabilmente grosso come il gigantesco pianeta Giove e forse così vicino alla Terra da poter far parte di questo sistema solare è stato trovato in direzione della costellazione di Orione da un telescopio orbitante denominato IRAS”. “E’ possibile – come sottolineato dal quotidiano americano – che si tratti del decimo pianeta che gli astronomi hanno invano cercato”. Gli astronomi suggerirono che fosse un “pianeta gassoso gigante, grande quanto Giove”, e così vicino che “sarebbe il corpo celeste più vicino alla Terra al di là del pianeta Plutone”. Questo lo farebbe divenire parte del nostro sistema solare. la struttura è stata avviata nel febbraio 2007) sarebbe stato progettato dagli USA per rilevare il Decimo Pianeta. Lo studioso sarebbe giunto a tale conclusione in seguito ai dati raccolti, e solo in parte divulgati dalla stampa sull’avvistamento del corpo celeste fatto dall’IRAS nel 1983, dalle successive scoperte fatte dal prof. Robert Harrington dell’Osservatorio Navale degli Stati Unti ma soprattutto dalle informazioni avute da Maynard su oscuri retroscena legati alla missione spaziale. Quando era in carico alla DIA acquisì familiarità col processo di compartimentalizzazione finalizzato al mantenimento della segretezza. Difatti, stando alle dichiarazioni di Maynard uno degli scopi reconditi del progetto D.O.C.L della DIA sarebbe il monitoraggio dell’attività extraterrestre in entrata ed uscita dalla nostra atmosfera. Non ero a conoscenza allora di missioni militari orbitali non affiliate alla NASA. Il timbro d’ispezione sul chip datava 1975. Nel 1975 le velocità più elevate di lavorazione, sui progetti più classificati, equivaleva a quella di un computer IBM 8088 che girava alla velocità di 4 milioni di cicli al secondo. Rientrato alla base, la mia routine proseguì come sempre. Il mio amico alla NSA, Jerald, indagò e osservò le persone impiegate in lavori molto classificati al Nevada Test Site e al Nellis Range. Accennò per caso ad un aereo che poteva essere lanciato in orbita e ritornare ed atterrare nel deserto del Nevada. Bingo, avevo visto un pezzo del sistema DOCL a Groom: era l’unità della NSA con grossi chips”. Lo stesso Marshall Masters nel 2000 ha raccolto da Maynard (Il quale ha testimoniato nell’ambito del Disclosure Project di Steven Greer) dichiarazioni che riguardano proprio la NASA e l’insabbiamento delle scoperte fatte dall’IRAS sul Decimo Pianeta. Tali informazioni sono riportate proprio nell’articolo di Masters accennato in precedenza pubblicato nel 2006. Verso la fine del 2000 Masters ebbe alcune conversazioni con Maynard riguardo al Pianeta X trovandolo, tra l’altro, alquanto ostico a parlare: “Avendo lavorato - dichiara l’ex analista - per la Lockheed Martin sul progetto satellitare Space Imaging situato a Denver (nda. Nell’aprile del 2000 la Space Imaging su commissione della FAS - Federation of American Scientists rilasciò delle nuove foto satellitari ad alta definizione dell’Area 51 fatte dal satellite Ikonos lanciato dalla base Vanderberg nel settembre del 1999 e progettato dalle compagnie Lockheed Martin, Raytheon e Kodak, tutte partecipanti ai programmi Keyhole), sapevo se un grande oggetto in entrata era in arrivo, l’Hubble o altre sonde spaziali probabilmente l’avrebbero ripreso”. Tuttavia Maynard si lasciò poi andare e rivelò alcune indiscrezioni relative all’IRAS ed al rilevamento del Decimo Pianeta da questi fatta nel 1983. “John - scrive Masters - finalmente mi disse che era stato inquadrato dal satellite a infrarossi IRAS della NASA nel 1983 e che la storia dell’avaria meccanica venne usata come una storia di copertura.(In seguito alla sua partecipazione al Disclosure project di Greer nel 2001 e dopo aver rilasciato un paio d’interviste Maynard nella primavera del 2003 è stato arrestato ed accusato di violazione del suo giuramento di segretezza a salvaguardia della Sicurezza Nazionale come risulta da asserzioni fatte in connessione alla sua attività quale testimone sulla realtà UFO in seno al Disclosure Project. McCanney fondamentalmente ribadisce che esisterebbe un vasto programma di copertura che coinvolgerebbe enti quali la NASA, la CIA, l’NSA e lo stesso Vaticano in merito all’esistenza e al prossimo avvento del Decimo Pianeta. Al di sopra della NASA vi è un livello che la controlla. La NSA è parte integrante del governo di sorveglianza già attivo. Era il Decimo Pianeta. Questa è la mia convinzione allo stato attuale delle cose. Vede, è a questo punto che nasce la divisione, perché fino ad allora anche molti scienziati del Goddard non avevano scoperto nulla al proposito.

Martin: Una compagna?

McCanney: Una compagna. Nel 1991 quest’oggetto era abbastanza grande da trascinare Urano e Nettuno fuori dalle loro orbite. La NASA sapeva che stava arrivando, con tutta probabilità la notarono anni fa, come elemento dello stuolo di oggetti in arrivo – a cui penso come oggetti che giungono come parte dello sciame del Decimo Pianeta. L’intervista ad ampio spettro tocca vari aspetti salvo ritornare più avanti sul tema del Decimo Pianeta e sugli effetti del suo passaggio:

Martin: Torniamo ancora un momento al “Decimo Pianeta”. Vorrei sottolineare che io studio i corpi del sistema extrasolare.

Harrington indicò dove cercare il Pianeta X

Come già emerso in precedenza dalle affermazioni di Maynard quando l’IRAS rilevò Nibiru (Pianeta X) nel 1983 la NASA stabilì che si stava avvicinando da Sud e ciò arrecò apprensione in quanto i più avanzati telescopi terrestri erano collocati nell’emisfero Nord. Robert Harrington (citato da McCanney) nel 1988. In effetti, nell’estate di quell’anno, come giustamente evidenziato da Sitchin, vennero pubblicati una serie di articoli su pubblicazioni scientifiche in cui veniva condivisa da diversi scienziati non solo l’esistenza del Pianeta X (sulla scorta dei calcoli delle perturbazioni planetarie ecc) ma l’ipotesi del Dott. Avrebbe una massa pari ad almeno quattro volte quella della Terra e con un’orbita simile a quella della cometa di Halley per cui trascorrerebbe parte del suo tempo sopra l’eclittica (nei cieli settentrionali) e la maggior parte sotto di essa (nei cieli meridionali). Nell’ottobre 1988 Harrington divulgò le sue scoperte in un documento intitolato “La posizione del Pianeta X” pubblicato sull’Astronomical Journal e nel quale era presente uno schizzo dei cieli con indicazioni di dove si sarebbe potuto trovare (al momento) il Decimo Pianeta sia nei cieli settentrionali sia in quelli meridionali. In seguito alla pubblicazione del documento Harrington in base ai dati che nel frattempo erano stati raccolti dal Voyager 2 - che aveva raggiunto Urano e Nettuno rilevando perturbazioni costanti, piccole ma ben evidenti, nelle loro orbite – concluse che il Decimo Pianeta doveva trovarsi nei cieli meridionali. Sfortunatamente Harrington morì prematuramente nel gennaio 1993 non prima però di fornire allo stesso Sitchin importanti conferme di persona in un incontro avuto con lui nel agosto del 1990 all’Osservatorio Navale di Washington e confermato in un’intervista fatta al noto studioso dal giornalista Luca Scantamburlo e pubblicata sul numero di Ago/Sett 2006 della rivista “UFO Notiziario”. “Primo, - afferma Sitchin - egli mi disse che il mio libro, Il Dodicesimo Pianeta, era giusto sul lato della sua scrivania per tutto il tempo, ed egli lo consultava ogni qualvolta aveva bisogno di una risposta alle domande sulla ricerca del “Pianeta X”. Tra l’altro alla successiva domanda in cui si citava proprio il documento di Harrington sul Pianeta X del 1991 dove egli stesso suggeriva che poteva essere visibile nei Cieli Meridionali nella regione del Centauro e dell’Idra, Sitchin rispose: “Sì. In seguito alla missione IRAS del 1983, in particolar modo dalla seconda metà degli anni ’80, in vari parti del mondo sono stati costruiti nuovi e avanzati telescopi nell’emisfero settentrionale ma molti, guarda caso, concentrati in varie aree geografiche nell’emisfero meridionale. L’ubicazione del VLT in tale area è stata voluta dagli astronomi europei dell’ESO in virtù della bassissima umidità e della eccezionale trasparenza riscontrate grazie anche lontananza da fonti di inquinamento luminoso. In Nord America, l’NSF rappresenta anche il Consiglio di Ricerche Nazionali del Canada e esegue il progetto grazie al National Radio Astronomy Observatory (NRAO) gestito dall’Associated Universities, Inc (AUI). Il telescopio ha visto la prima luce nel 1999 e ha iniziato l’attività d’osservazione nel 2000. IL secondo telescopio (costruito nel 2000 ed operativo dal 2001) è il Gemini South che si trova ad oltre 2700 m di altitudine sul Cerro Pachón sulle Ande in Cile. Nel novembre 2005 in Sudafrica, con tanto di cerimonia ufficiale di battesimo alla presenza del presidente Thabo Mbeki, venne avviato il Southern African Large Telescope (SALT) un telescopio ottico del diametro di circa 10 metri, situato in cima ad una collina all’interno di una riserva naturale a 370 km a nord-est di Città del Capo, vicino alla cittadina di Sutherland. Il telescopio, concepito principalmente dal Sudafrica che ha contribuito maggiormente al finanziamento, è frutto della collaborazione di altri paesi che hanno collaborato al progetto tra i quali: Germania, Polonia, Stati Uniti, Regno Unito e Nuova Zelanda. in oltre 25 anni di permanenza nello spazio, si trovava ben oltre l’orbita di Plutone e quindi al di fuori del sistema solare. Gli astronomi hanno osservato i dati del tracciato della Pioneer 10 ottenuti tramite il NASA Deep Space Network, uno spiegamento di grandi telescopi progettati per comunicare con le sonde in orbita nello spazio profondo (4). La sonda spaziale Pioneer 10, lanciata nel Marzo del 1972, si è dimostrata all’altezza del suo nome e al momento si trova a 1,1 miliardi di Km e ancora trasmette, anche se la NASA ha cessato di monitorarne i segnali nel 1997 dopo che aveva trascorso venticinque anni nello spazio. Forse un pianeta nato altrove, che ha vagabondato nella galassia per poi essere catturato alla periferia del nostro sistema planetario oppure un gemello della nostra stella mai accesosi. La controversia ipotesi è del Dr. John Murray, della Open University della Gran Bretagna. Le comete si ritiene provengano dai freddi e bui confini estremi del Sistema Solare, molto oltre i pianeti, in una regione chiamata Nube di Oort…..E’ appena percettibile e con un movimento molto lento….Ma il pianeta orbita attorno al Sole nella direzione “contraria” rispetto agli altri pianeti conosciuti. Questo ha portato alla sorprendente ipotesi che non si sia formato in questa regione spaziale e sia invece “fuggito” da un’altra stella”. “Due gruppi di ricercatori - recita l’articolo - hanno ipotizzato l’esistenza di un pianeta non visibile o stella abortita orbitante attorno al sole alla distanza di oltre 4 mila miliardi di chilometri, molto lontana dall’orbita dei 9 pianeti conosciuti. Nessun telescopio ha individuato finora quest’oggetto. Ma sulla base del suo effetto gravitazionale, John B. Murray, uno scienziato planetario della Britain Open University, ipotizza che l’oggetto potrebbe essere più grande di Giove, il più grande dei pianeti conosciuti del sistema solare. Murray stima l’orbita dell’oggetto intorno alle 32,000 AU, o 2.98 bilioni miglia dal sole. La sua proposta è apparsa nel numero di ottobre del Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. I ricercatori della Louisiana affermano che la presenza di questo pianeta potrebbe spiegare la configurazioni delle comete. Murray invece ipotizza che l’oggetto abbia un periodo di rivoluzione di almeno 6 milioni di anni e che ruoti intorno al Sole nel verso opposto a quello seguito dai 9 pianeti conosciuti. Come mai un oggetto di tali dimensioni ruota così lontano dal Sole? I ricercatori dicono che un pianeta o una stella oscura potrebbe essersi formata durante la composizione del Sistema Solare miliardi di anni fa, ma è più probabile possa essere un corpo celeste “vagante” catturato dalla forza gravitazionale del Sole. il nome precedente del telescopio spaziale infrarosso Spitzer lanciato nel 2003) che sta per essere lanciato. Tra l’altro proprio in merito al progetto Spitzer nel 2007 è emerso che anche il Vaticano collabora con la NASA ad un programma sullo studio delle stelle doppie e la formazione dei pianeti fuori dal Sistema Solare. Tra le stelle doppie, risalta Sirio l’astro più luminoso del cielo notturno. Sirio, che si trova ad una distanza di 8,6 anni luce dal nostro pianeta, è una delle stelle più vicine alla Terra. Questo è il motivo principale della sua luminosità. I dati elaborati dalla NASA mostrano, inoltre, che i sistemi stellari binari, cioè con stelle doppie, sono luoghi adatti alla formazione di pianeti. Il progetto della NASA, portato avanti con la Specola Vaticana (ndr. Tra l’altro la Raytheon insieme alla British Aerospace Systems nella prima metà degli anni ’90 si è occupata della costruzione e sviluppo del sistema di antenne HAARP di Gakona, in Alaska e sarebbe coinvolta in altre ricerche militari sul controllo climatico. La compagnia americana ha assorbito E-Systems una delle maggiori fornitrici di tecnologie avanzate ai servizi segreti di molte potenze mondiali e si da il caso che nel febbraio 2000 in seguito ad uno studio-ricerca dell’Unione europea commissionato a Duncan Campbell (un esperto del Comitato scientifico del parlamento europeo) è emerso che la Raytheon provvede alla manutenzione e aggiornamento del sistema di spionaggio Echelon. Infine, come già esaminato in precedenza, la Raytheon insieme alla Kodak ed alla Lockheed Martin hanno progettato non il satellite Ikonos ma hanno partecipato al programma dei satelliti segreti Keyholes. La costruzione della base, l’implementazione di vari campi remoti e l’avvio delle operazioni, hanno permesso all’Italia di essere ammessa al Trattato Antartico. Su quest’ultimo nel 1993 è stata costruita a ben 3200 metri sopra il livello del mare la base Italo-Francese Dome C (o Dome Concordia) (6) nell’ambito del progetto Concordia con la partecipazione del PNRA italiano e dell’istituto polare francese (IPEV). A Dome C si trova il Telescopio Infrarosso Antartico Italiano IRAIT (Italian Robotic Antarctic Infrared Telescope) frutto della collaborazione del Dipartimento di Fisica dell’Università di Perugia e della Spagna con l’Università di Granada e l’Istituto di studi avanzati di Barcellona. Lo strumento principale del telescopio è AMICA (Antarctic Multiband Infrared CAmera) una camera con due canali attrezzati per osservazioni nel vicino (1-5 micron) e medio (7-25 micron) Infrarosso. Harrington dichiarò all’American Astronomical Society ad Arlington in Virginia che l’Osservatorio Navale degli Stati Uniti aveva ristretto la ricerca del Decimo Pianeta ai cieli meridionali.

“L’astronomia sumera - scrive Sitchin – suddivideva i cieli intorno alla Terra in tre fasce o “Vie”. Gli astronomi contemporanei che studiavano i testi sumeri non riuscivano a comprendere il senso di questa divisione; l’unica spiegazione che ero riuscito a trovare era il riferimento in questi testi all’orbita di Nibiru/Marduk quando si scorgeva dalla Terra: Pianeta del dio Marduk:

al suo apparire: Mercurioal sorgere di 30° dell’arco celeste: Giove quando si trova nel luogo della battaglia celeste: Nibiru.

Il 30° parallelo nord, ho evidenziato in Le astronavi del Sinai, era una linea “sacra” lungo la quale erano situati il porto spaziale della penisola del Sinai, le grandi piramidi di Giza e lo sguardo della Sfinge. Sembra plausibile che l’allineamento sia collegato alla posizione di Nibiru, 30° nei cieli settentrionali, quando raggiungeva il perielio della sua orbita. Oggi vediamo la costellazione zodiacale della Bilancia, ma ai tempi della Bibbia e di Babilonia, quella era la casa del Sagittario. Quando dalla postazione di Giove il Pianeta diverrà più luminoso e nella casa zodiacale del Cancro diventerà Nibiru,Akkad traboccherà di abbondanza.



Si può spiegare semplicemente dicendo che, quando il perielio del pianeta era nel Cancro, la sua prima apparizione era dal Sagittario. Arriva alla Grande Orsa, Orione e Sirio

e le costellazioni del sud.

Proprio nel 2000 durante l’Omelia del Papa nella Messa di beatificazione di Francesco e Giacinta avvenuta il 13 maggio Giovanni Paolo II fece riferimento per ben due volte al capitolo 12 dell’Apocalisse affermando che: “…in questo momento ci troviamo nel mezzo del capitolo 12, versetto 3 del Libro delle Rivelazioni”. Le prime in senso apocalittiche) fatte nel 1980 dall’allora neo eletto Papa Giovanni Paolo II in merito al presunto Terzo Segreto di Fatima.






sunto da scritto di Cristoforo Barbato


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Dai mercanti del Tempio alla crisi dei «subprime»
Posted in Settembre 21st, 2008
by Leon in Banche

Leggendo i libri di Massimo Amato e di Larry Elliott e Dan Atkinson, Marco Ventura ricostruisce il passaggio, avvenuto in età moderna, fra la concezione della moneta come mezzo per pagare un debito acquistando un bene concreto alla moneta come merce, comprata e venduta nei mercati finanziari contemporanei. Nel libro Le radici di una fede Amato spiega che nel XVI secolo è necessaria una fede pubblica, nel rapporto fra sovrano e suddito o nelle relazioni economiche internazionali, perché il sistema monetario funzioni. Alla fine del XVII secolo la riforma monetaria inglese sancisce una nuova realtà: la moneta è pienamente merce, il cui valore è legato alla parità aurea. In The Gods that failed Elliott e Atkinson propongono di vedere le origini della crisi finanziaria attuale nella decisione di Nixon che nel 1971 dichiarò il dollaro non più convertibile in oro, parificando il mercato della moneta a quello dei derivati e dei collaterali.

Non si potevano offrire monete greche o romane, al Tempio di Gerusalemme. Profane e impure, andavano cambiate in soldi degni del rito. Quando Gesù entra nel cortile del Tempio, vede gente intorno ai banchi dei cambiavalute. Allora lega insieme delle cordicelle, ne fa una sferza. Getta a terra il denaro, rovescia i tavoli, caccia i mercanti.
Duemila anni dopo, 9 agosto 2007. Sui computer di tutto il mondo rimbalza la notizia, apparentemente solo una news qualunque. Il gruppo francese Bnp Paribas annuncia forti perdite sul mercato americano dei subprime. È l’inizio della grande crisi. Duemila anni separano le due scene. La caduta dei cambiavalute di Gerusalemme, la caduta degli speculatori di Wall Street. C’è qualcosa nei due fatti che li può legare e farci capire cosa sta succedendo? Due volumi usciti a un anno dallo scoppio della crisi creditizia suggeriscono di sì.
Nella sua storia della moneta, Le radici di una fede. Per una storia del rapporto fra moneta e credito in Occidente, [...] il docente della Bocconi Massimo Amato usa il parametro della fede per spiegare il passaggio dalla moneta rinascimentale alla nostra, ormai puramente finanziaria e sganciata da ogni parità con il metallo. La moneta cinquecentesca è il mezzo con cui il debitore si libera nei confronti del creditore. Serve allo scambio di merci, non è una merce in sé. Si può lucrare sul cambio, come al Tempio di Gerusalemme, ma resta inconcepibile un mercato del denaro. Nelle piazze europee la moneta è degna di fede per quanto vale il metallo che la incorpora; sui mercati locali vale la fiducia nel principe che la conia e ne fissa la parità rispetto alla cosiddetta «moneta immaginaria », moneta di riferimento ideale. C’è bisogno di una fede pubblica perché la moneta funzioni: fede nel rapporto tra principe e suddito, fede nelle relazioni economiche. [...] Ma il Seicento rimescola le carte. La politica di potenza degli Stati nazionali, l’afflusso dei metalli dalle colonie, l’indebitamento pubblico e le guerre rompono la tradizione. Si apre un mercato del credito e della moneta dove circolano, si lamenta Bernardo Davanzati, erudito del 1500, «arbìtri, rivolture e girandole, e non vivi debiti o crediti effettivi»; è un circuito che «non serve al comodo della mercanzia ma solamente all’utile del danajo» [...]. A fine Seicento l’Inghilterra recepisce la riforma monetaria ispirata da Locke e Newton. La nuova moneta, ormai anche cartamoneta, è pienamente merce: mezzo di scambio e misura dello scambio al tempo stesso. Agganciata alla parità aurea, ma libera di fissarsi di volta in volta sul mercato; nel prezzo, nell’interesse. Quello che Gesù voleva impedire ai cambiavalute del Tempio è oggi banale realtà per i mercanti di Wall Street: la moneta si è fatta merce essa stessa. Riposa su una fiducia slegata dalla vicenda reale di un debitore e di un creditore; fiducia non più «pubblica» perché non più collante di una collettività, ma «privata» poiché scommette individualmente sul tempo, sul calcolo, sul rischio: poiché è tutta nelle «mutevoli aspettative private riguardo al potere d’acquisto » della moneta medesima. Qui entra in gioco lo studio dei giornalisti economici britannici Larry Elliott del “Guardian” e Dan Atkinson del “Mail on Sunday”, The Gods that failed. How blind faith in markets has cost us our future, [...]. La loro storia dell’attuale caos finanziario parte dal 15 agosto 1971, quando Nixon chiude duemilacinquecento anni di aggancio della moneta al metallo dichiarando il dollaro non più convertibile in oro. La concezione della moneta si allinea al mercato finanziario postmoderno dei derivati e dei collaterali; mercato liquido e spregiudicato, regolato nei termini preferiti dalla finanza globale, con «discrezione e permissività». Sono lontani i tempi in cui Franklin Roosevelt si rallegrava che i cambiavalute fossero finalmente «fuggiti dai loro alti seggi nel tempio della nostra civiltà». Questa è l’ora di una nuova fede nei protagonisti della finanza. [...] La loro religione è astuta: implica uno smontaggio delle responsabilità per cui «quando arriva la polizia non c’è nessuno in casa»; uno spezzettamento del prodotto finanziario che occulti il rischio reale; e l’arrogante ritorno «alla mammella dello Stato», come nel caso della Northern Rock, la banca inglese salva perché nazionalizzata. Sia Amato sia Elliott e Atkinson raccontano il passaggio da una moneta che paga un debito celebrando il rito dello scambio a una finanza che è pura fede in se stessa. La storia però non è finita. Per gli autori inglesi la fede nella nuova finanza non è invincibile; «gli Dei hanno fallito » e la gente sta smettendo di credere nella religione degli analisti, dei manager di hedge fund, di chi sposta denaro con un mouse. Gesù cacciò i cambiavalute dal Tempio perché non concorressero con Dio. Chi caccerà dai loro Templi i postmoderni Dei della finanza?

di Marco Ventura
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Le Banche di Allah
Posted in Settembre 20th, 2008
by Leon in Innovazioni











La finanza islamica non ha risentito della recente crisi dei mutui subprimes americani. Essendo vietati il prestito ad interesse e la commercializzazione dei debiti, gli investitori musulmani non corrono il rischio di acquistare prodotti complessi, come le famigerate collaterized debt obligations, che hanno scatenato la crisi. L’autorevole agenzia di rating Moody’s stima che gli asset delle banche islamiche, in un solo anno, sono aumentati del 20% raggiungendo quota 500 miliardi di dollari. Non vi è così altra strategia per arrestare l’avanzata delle banche di Allah se non alimentare il fantasma di Bin Laden e la paura del terrorismo.

Il 25 settembre 2007 Adnan Yousif, presidente dell’Unione delle Banche Arabe (Uab), ha firmato un memorandum d’intesa con l’Associazione Bancaria Italiana (Abi) per l’apertura in Italia, entro la fine del 2008, di uno sportello ispirato ai principi del Corano, in linea con quanto sta avvenendo in altri Paesi europei. È passato un anno, durante il quale si è discusso di tante problematiche legate alla presenza crescente di musulmani in Italia - apertura di moschee, matrimoni misti, studio del Corano nelle scuole, uso del velo in luoghi pubblici - ma nessuno ha seriamente approfondito i vantaggi, che avrebbero gli imprenditori e i risparmiatori italiani, se potessero rivolgersi, invece che ai soliti usurai, anche alle banche di diritto islamico. Se vogliamo davvero liberalizzare il nostro sistema finanziario, allora dovremmo aprirci a tutte le banche, non solo a quelle ispirate al modello americano.

La caratteristica più nota del sistema bancario islamico è il divieto di addebitare interessi. Il Corano (sura 2, versetto 275) vieta la riba sul denaro prestato. Il termine si riferisce non solo all’usura, cioè ad un tasso d’interesse eccessivo, ma a qualsiasi corresponsione d’interessi su mutui e depositi. Secondo la shari’ah, che è la legge islamica, soltanto il lavoro dell’uomo può giustificare l’arricchimento, sia sul piano etico che giuridico. Non è lecito percepire alcun interesse, neanche minimo, perché esso rappresenta un guadagno del creditore collegato al semplice decorrere del tempo. L’Islam consente solo un tipo di prestito - chiamato qard-elhassan, che letteralmente significa buon prestito - dove il prestatore non addebita alcun interesse o importo addizionale alla cifra prestata. Il creditore offre il prestito per ottenere la benedizione di Allah e si aspetta una ricompensa solo da Allah. Le risorse per questo tipo di operazione sono prelevate da un fondo di solidarietà, detto decima legale (zakat), formato dai contributi volontari che tutti i musulmani versano a favore dei poveri e che vengono gestiti dalle banche per conto delle comunità locali o dei governi. Il denaro erogato come buon prestito viene usato a scopo di consumo o per l’acquisto di beni di prima necessità.

La condanna dell’usura deriva dal fatto che la moneta è considerata unità di misura e mezzo di pagamento. Non avendo alcun valore intrinseco, non può generare altra moneta tramite il pagamento d’interessi. Il lavoro umano, lo spirito di iniziativa e il rischio insito in un’attività produttiva, sono più importanti del denaro usato per finanziarli. I giuristi musulmani considerano la moneta come capitale potenziale, piuttosto che come capitale in senso stretto, nel senso che essa diventa capitale solo quando viene investita in un’attività economica. Di conseguenza, il denaro anticipato sotto forma di prestito è considerato un debito dell’impresa e non un capitale. In quanto tale, non dà diritto ad alcun profitto. Il suo potere d’acquisto non può venire usato per creare direttamente maggiore potere d’acquisto, ma deve passare attraverso una fase intermedia che la compravendita di beni e servizi.
Partendo da questa visione della moneta, la finanza islamica si fonda sull’idea che prestatore ed utilizzatore di moneta devono spartire in ugual misura il rischio d’impresa, affinché tutta la comunità, e non soltanto una categoria di operatori economici, ne tragga beneficio. Ciò vale per fabbriche, aziende agricole, società di servizi o semplici operazioni commerciali. Tradotto in termini bancari, significa che tutti i soggetti coinvolti - il depositante, la banca, il debitore - devono dividere i rischi e i guadagni derivanti dal finanziamento di una certa attività. É il principio del profit-loss sharing, conosciuto ma scarsamente applicato nel sistema bancario occidentale, che invece obbliga il debitore a restituire l’ammontare del prestito ricevuto, insieme all’interesse imposto, indipendentemente dal successo o dal fallimento della sua impresa. Tecnicamente la condivisione del rischio d’impresa si sostanzia in varie forme di finanziamento, di tipo associativo o partecipativo.

Col murabaha la banca acquista un macchinario per conto del cliente e lo rivende al cliente stesso ad un prezzo più alto. Col mudaraba la banca investe fondi per conto del cliente e prende una percentuale sui profitti derivanti dall’investimento. I depositi bancari sono generalmente accettati in tale forma. Col musharaka la banca e il cliente costituiscono una società, o acquistano una partecipazione societaria, condividendo profitti e perdite derivanti dall’operazione. La legge islamica proibisce anche la gharar, parola che significa incertezza, rischio, speculazione. Le parti contraenti devono essere perfettamente a conoscenza dei controvalori che sono scambiati come risultato delle loro transazioni e non possono predeterminare un profitto garantito. I cosiddetti futures - che sono promesse di futuri acquisti o vendite - sono considerati strumenti finanziari immorali, così come le transazioni finanziarie in valuta estera, perché i tassi di cambio sono determinati dai differenziali dei tassi di interesse. Molti studiosi islamici disapprovano anche l’indicizzazione del livello d’indebitamento tramite l’inflazione. Tuttavia alcune transazioni sono considerate eccezioni al principio del gharar, come le vendite con pagamento anticipato (bai’ bithaman ajil) e il contratto di leasing (ijara).

In ogni caso esistono precisi requisiti legali affinché questi contratti siano stipulati e conclusi in modo da minimizzare qualsiasi rischio. Ad esempio, nel leasing islamico - che consente alla banca di acquistare un bene per un cliente ed affittarglielo per un certo periodo, al termine del quale il cliente può acquistare il bene medesimo - la somma d’acquisto deve essere pari al totale delle rate, maggiorata soltanto della remunerazione del servizio prestato dalla banca. Bisogna infine considerare che uno dei pilastri dell’Islam è la donazione (zakat), basata sull’idea di una purificazione della propria ricchezza tramite una parziale redistribuzione, che assume la forma di una tassa religiosa. Ad essa sono soggette le stesse banche e milioni di credenti, anche quelli emigrati. Si tratta di cifre enormi, difficili da valutare, che costituiscono un flusso ininterrotto di risorse impiegate per l’assistenza ai più bisognosi, ma anche una forma di finanziamento per la difesa e la diffusione della fede.

La prima banca islamica nacque in Egitto nel 1963, ma solo dopo la crisi petrolifera dei primi anni settanta cominciò il vero sviluppo della finanza islamica. Nel 1975 fu decisa l’istituzione di una banca pubblica, la Islamic Development Bank, con la partecipazione di 44 Paesi membri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (Oci), creata fin dal 1969. I principali azionisti sono l’Arabia Saudita (26%), la Libia (16%) e il Kuwait (13%). Il suo compito è quello di favorire il commercio tra nazioni musulmane, finanziare operazioni di leasing e vendite in acconto, creare fondi speciali per progetti di sviluppo. Nello stesso anno nacque la Dubai Islamic Bank, la prima banca privata islamica, e nel 1978 fu insediata in Lussemburgo la prima banca islamica occidentale, denominata allora Islamic Banking System ed ora Islamic Financial House. Nel 1979 il Pakistan decretò l’islamizzazione di tutto il settore bancario. Lo stesso avvenne in Sudan ed Iran nel 1983. Attualmente esistono 166 banche islamiche, che concentrano circa un 80% della raccolta in Medio Oriente ed il resto in altri Paesi musulmani, principalmente Malaysia e Indonesia. I gruppi più importanti sono quattro: Dallah Albaraka Group (Arabia Saudita), Dar al Maal al Islami Trust (Arabia Saudita), Alrahj Group (Arabia Saudita) The Islamic Investor (Kuwait).

Negli ultimi anni sono stati lanciati fondi azionari islamici che seguono criteri rigorosi nella scelta dei titoli. Sono escluse le imprese di settori immorali (bevande alcoliche, tabacco, pornografia, carne di maiale, armi), quelle che hanno un debito superiore al 33% della capitalizzazione, quelle che commerciano con Israele e quelle che praticano l’usura, cioè tutte le banche ed assicurazioni di diritto occidentale. In tutto il mondo esistono ben 144 fondi islamici che distribuiscono utili crescenti sotto forma di obbligazioni (sukuk) che, a differenza dei bond occidentali, non pagano interesse in senso stretto, ma sono cedole rappresentative di quote di profitti legate alle attività delle imprese selezionate. Il primo sukuk fu emesso nel 1990. Dieci anni dopo avvenne la seconda emissione, solo 3 sukuk per 336 milioni di dollari. Nel 2003 sono aumentati a 37 per un ammontare di 5,7 miliardi di dollari. Nel 2006 sono stati emessi ben 199 sukuk, per oltre 27 miliardi di dollari, altri 206 nel 2007 per quasi 47 miliardi di dollari, ed infine 44 nel 2008 per altri 2,4 miliardi.

La finanza islamica non ha risentito della recente crisi dei mutui subprime americani. Essendo vietati il prestito ad interesse e la commercializzazione dei debiti, gli investitori musulmani non corrono il rischio di acquistare prodotti complessi, come le famigerate collaterized debt obligations, che hanno scatenato la crisi. L’autorevole agenzia di rating Moody’s stima che gli asset delle banche islamiche, in un solo anno, sono aumentati del 20% raggiungendo quota 500 miliardi di dollari. Parallelamente sottolinea i rischi legati alla credenza che tali istituti servano a finanziare il terrorismo internazionale. Evidentemente il sistema usuraio occidentale non ha altra strategia per arrestare l’avanzata delle banche di Allah se non alimentare questa credenza e fomentare il cosiddetto scontro di civiltà, col fantasma di Bin Laden che periodicamente appare per pronunciare rivendicazioni e minacce. Per gli italiani, che non sono musulmani ma sono stanchi di subire il potere usuraio, l’attrattiva della finanza islamica si spiega soprattutto in rapporto alle disfunzioni della finanza globale. Ciò vale soprattutto per il Mezzogiorno, il cui divario rispetto alle regioni del Nord, si misura anche in termini di costo del denaro. Ma in generale, è tutta l’economia italiana ad essere ostaggio di un sistema bancario che privilegia i profitti dei creatori di moneta, cioè le banche, rispetto ai bisogni degli utilizzatori di moneta, cioè imprese e famiglie. La banca senza banchieri. Questo è il cardine del socialismo islamico. Nel capitalismo occidentale esiste invece un conflitto strutturale tra imprese bancarie, che producono moneta dal nulla e lucrano sul tempo, ed imprese industriali e commerciali, che faticano a produrre lavoro perché schiacciate da interessi e garanzie vessatorie imposte dall’usurocrazia globale. Sarebbe riduttivo considerarlo un conflitto interno alla classe capitalista, poichè esso rappresenta la vera lotta di classe: lavoro contro usura, imprenditori ed operai contro banchieri.

di Raffaele Ragni

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